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Channel: Facebook – Il blog di Valerio Di Stefano
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Alla parata militare sputò negli occhi a un innocente

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Noi gente del web, noi che teniamo su i blog, che siamo sui Social Network, noi persone più abituate all’http che all’affabulazione da bar, ogni tanto abbiamo idee bislacche e decisamente fuori luogo.

Come quella di annullare la festa del 2 giugno e chiedere che il risparmio sia devoluto alle popolazioni del sisma dell’Emilia, che stanno soffrendo davvero, altro che hashtag di Twitter e “mi piace” di Facebook.

Ci illudiamo, poveri principini dei telecomandi e dell’inutile software di schienza di gucciniana memoria, che i terremotati dell’Emilia siano gli “altri” da aiutare. Come se noi ne fossimo sempre, solo, comunque e definitivamente fuori.
E ci autoconvinciamo di lavarci la coscienza mandando un SMS dal nostro iPhone (perché quello non ce lo facciamo mancare, la parata del 2 giugno la vogliamo annullare, ma guai se ci auto-annulliamo da soli un trespoletto marchiato Steve Jobs da 700 euro e andiamo in giro con un Nokia o un Samsung da 25-30, che funziona lo stesso e allora vaffanculo, e diamo il resto a chi ne ha bisogno) o rinunciando a una festa che regalerebbe ai senza tetto soltanto gli spiccioli, come se la solidarietà fosse dare gli avanzi delle nostre cene luculliane al poveraccio che mendica un po’ di cibo e di sostegno fuori da casa nostra.

Naturalmente, a noi, popolo del web, maniaci del “mi piace”, onanisti del clic forsennato e acritico, non viene neanche in mente che sperperiamo la nostra ricchezza nazionale in una cacchia di missione di guerra in Afghanistan o che, si veda il caso, stiamo per lanciarci nell’avventura più fantasmagorica e nella rivoluzione copernicata delle comunicazioni via terra, la realizzazione della TAV che permetterà a qualche pacchetto di malloreddus sardi, o a una mortadella bolognese, o a una forma di pecorino abruzzese, o a una bottiglia di rhum per ponci alla livornese (così non mi accusate di prendermela sempre con gli altri) di arrivare con mezz’ora di anticipo a Lione, che, notoriamente, è il capolinea del mondo, perché tutto quello che viene prodotto in Italia deve andare a Lione, non ci son santi che tengano.

Siamo noi che stiamo andando giù, inesorabilmente. Se il terremoto de L’Aquila è stato una metafora di quello che stava per accadere il terremoto dell’Emilia è la fotografia implacabile di quello che siamo diventati.

Perché siamo noi quelli lì. Siamo noi i capannoni di cartapesta che vanno giù. Siamo noi le tonnellate e tonnellate di forme di parmigiano reggiano che si accumulano alla sans façon fra tavolacci sgangherati. Siamo noi le torri con gli orologi spaccati a metà, noi che abbiamo perso il senso del tempo, per sempre, e di un’identità nazionale che ha voluto L’Aquila come città da dimenticare mentre il Nord viaggiava in canottiera, sigari, tricolori con cui pulirsi il culo, lavurà, i dané, le lauree comprate in Albania, quell’identità che si era dimenticata che mentre la gente e l’arte sparivano per sempre dai centri storici del paese si continuava ad andare avanti con tonnellate e tonnellate di nipotine di Mubarak.

Siamo noi che ci destiamo increduli da un sonno popolato per troppi decenni da tette e culi di meteorine, per scoprire che L’Aquila o Mirandola sono la stessa cosa, che ci siamo fumati l’impossibile, che abbiamo un territorio da difendere, e senza la sua difesa non esiste più nulla.

E così ci siamo svegliati davanti a tutta questa sofferenza, che è nostra, anche di quanti stasera andranno a dormire nel proprio letto, e pretendiamo di alleviarla con la moratoria della Festa della Repubblica.

Bella idea. Bella idea davvero. Bravi quelli del “popolo del web”! Quando qualcuno penserà di rinunciare al primo maggio per risolvere il problema dell’inflazione non fatemi nessuna anestesia: voglio soffrire fino in fondo.


La rete e il ritorno di Arnaldo Forlani

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Sulla rete c’è stato un rigurgito di neo-forlanesimo assai imbarazzante, che, come molte cose della rete, vivono solo un giorno, come le rose, ma pungono ugualmente e fanno dànno.

Sempre sulla scia della proposta di abolire la parata del due giugno a favore delle popolazioni terremotate dell’Emilia, qualcuno è arrivato a ricordare e perfino sottolineare l’esempio di Arnaldo Forlani che, da Ministro della Difesa, nel 1976, dopo il terremoto del Friuli, aveva, appunto, sospeso lo svolgimento della Festa della Repubblica.

Forlani per 29 voti non divenne Presidente della Repubblica. Fu poi condannato definitivamente per illecito finanziamento ai partiti. Ora, per carità ha espiato completamente la sua pena e per quello che riguarda me (e anche per quello che riguarda la società intera) è pienamente riabilitato, reinserito e può fare quel che vuole.

Ma rimpiangerlo addirittura e farne un vessillo mi sembra decisamente fuori luogo.

La rete a volte impazzisce, scusàtela!

La moda di fotografarsi i piedi su Facebook

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Elogio della lentezza sul web

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Stiamo arrivando a un ritmo frenetico a dare notizie e commenti sull’onda di una attualità dei fatti che si sta sempre più accorciando, che non ci fa verificare quello che scriviamo -esponendoci alle figuri più misere, quando va bene- o vanificando la nostra azione in un giorno o due perché quell’argomento su cui abbiamo bloggato, twittato o spaccato le putenda ai nostri amici di Facebook ormai è passato di moda. Dunque, non se ne parla più.

Facciamo fare cip-cip a un commento di 140 caratteri che, nella migliore delle ipotesi, non vivrà più di una farfalla.

E invece i temi dovrebbero essere lasciati decantare. Oppure affrontati, ripresi, commentati, e poi di nuovo ripresi e approfonditi. Perché se una notizia passa di moda non è più una notizia. Le cose esistono solo perché se ne parla, non perché esistano o non esistano di per sé.

E allora parliamone, se non vogliamo che la polvere dell’oblio ce le faccia passare dalla responsabilità civile collettiva.

Facebook e l’impresa di Valeria Straneo, ottava alla maratona

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L'immagine tratta dalla pagina Facebook di Fanpage.it

Valeria Straneo è un’atleta italiana che è arrivata ottava nella maratona. E’ un piazzamento di tutto onore, anche se non l’abilita a portare nel nostro Paese una delle medaglie per le quali ogni giorno gli italiani pregano, quasi fossero panacee per i mali endemici e incancreniti di cui soffriamo.

Valeria Straneo, dunque, è di per sé una validissima atleta.

Su Facebook da alcune ore è cominciato a circolare (io l’ho vista nella pagina pubblica di fanpage.it) un fotoritocco che la ritrae durante l’impresa. E poi un commento in cui si chiarisce che la Straneo ha subito l’asportazione della milza. E’ sempre imbarazzante quando qualcuno parla delle condizioni di salute altrui. Dovrebbero essere fatti personali, cose che ciascuno, nella sua sofferenza o nella sua personale forza d’animo, affronta come sa e come può. Oltre che come e con chi vuole. Invece ora lo sanno tutti. E viene chiarito anche, tra parentesi, che detta asportazione si sarebbe resa necessaria a causa di una malattia genetica. Informazioni che si aggiungono a informazioni.

Sembra di leggere, tra le righe, che la Straneo non è brava perché è semplicemente brava (è un discorso che fila!), ma è brava perché nonostante la sua condizione fisica è riuscita a strappare un ottimo piazzamento. Ora, che possa aver gareggiato in condizioni di indiscutibile svantaggio è pacifico. Ma quello che non riesce ad andare giù è il presentarla, agli occhi dei visitatori, come una persona con la milza asportata, NON come quello che è, e cioè una atleta e basta.

C’è dell’altro. Prima di parlare dell’intervento subito, si fa cenno alle sue due gravidanze. Ma da quando in qua due gravidanze costituiscono una malattia? O un qualcosa per il quale una persona possa o debba sentirsi se non menomata almeno in svantaggio nelle competizioni della vita, sportive o meno che siano?

Nessuno dice una cosa molto semplice: la signora Straneo è una persona NORMALE, che ha raggiunto NORMALMENTE un piazzamento di eccellenza in una corsa in cui si è lasciata dietro tantissimi atleti che la milza ce l’avevano, segno di una NORMALITA’ mai perduta e di una volontà di presentarsi alla maratona come qualunque altro partecipante.

Certamente rispetto a Valeria Straneo i veri “diversamente abili”, gli “handicappati” siamo noi, che non riusciamo a correre per 200 metri senza che ci scoppi il cuore (non so voi, ma almeno per me è così).

Il testo che accompagna la foto su Facebook

Ipse dixit

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La critica e la trasformazione delle cose

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Immagine tratta da consiglioaperto.blogspot.it

A forza di frequentare Facebook, forum, commentare blog, giornali, singole notizie, intervenire di qua e di là ANCHE sui temi più  stupidi – quindi SOPRATTUTTO sui temi più stupidi, ce li propongono apposta – stiamo finendo per trasformare le cose.

Improvvisamente, forse perché dotati del falso delirio di onnipotenza che la rete ci regala con la pia illusione dell’anonimato, abbiamo abbassato la soglia della sensibilità, per cui scambiamo facilmente una puntualizzazione con una polemica, una rettifica con una minaccia di adire alle vie legali, una critica con una diffamazione e la satira come un delitto di lesa maestà.

La sciatteria dei media è dilagante, e noi ci cadiamo dentro con tutte le scarpe. E’ una tentazione meravigliosa a cui non bisogna wildianamente resistere.
Bene che ti vada ti ritrovi copiato, interpolato, frainteso (come il noto Maestro Italiano del fraintendimento ci ha pazientemente insegnato), quando non ridicolizzato, comunque sempre deformato nel tuo pensiero e nelle tue intenzioni originali.
E’ per questo motivo che spesso si deve precisare, rettificare, cricare, dichiarare il proprio disaccorso, ironizzare.
In un clima di dibattito che, soprattutto su Facebook e sui giornali on line, dovrebbe essere la quotidianità. Voglio dire, la gente che scrive su questi cosi dovrebbe essere abbastanza avvezza a essere contestata, corretta, ribattuta.

E invece no, ce la prendiamo a morte.
Forse perché la rettifica, la contestazione, o anche la semplice precisazione, magari permeata da un velo di ironia, ci obbligano a tornare sulla notizia, su quanto è stato scritto, su quello che non è stato fatto, in breve, sulla nostra personale sciatteria e sul come l’abbiamo impiegata nel momento in cui ci siamo esposti con le nostre idee e i nostri scritti.
Come se volessimo dire “E va beh, non ho detto questa cosa, non ti ho citato, ti ho citato male, ho scritto una cosa senza fondamento, ho massacrato l’ortografia e la sintassi, E ALLORA?? C’è bisogno di venirmelo a dire? Ora mi tocca anche rispondere…”

Scriveva Mario Missiroli che “Una smentita è una notizia data due volte”. Io penso che una smentita possa e debba costituire la leva attraverso la quale una notizia si rivela falsa. O, semplicemente, inesatta. Allora la notizia torna all’attenzione di chi l’ha letta, ma anche e soprattutto di chi l’ha scritta, che deve obbligatoriamente occuparsene. Magari in corpo 10 e in posizione poco visibile perché essere puliti e onesti va bene, ma la polvere sotto al tappeto nessuno la deve toccare.

Scuola: le raccomandazioni del Garante della Privacy

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Mancano pochi giorni all’apertura delle scuole e il Garante per la protezione dei dati personali ritiene utile fornire a professori, genitori e studenti, sulla base dei  provvedimenti adottati e dei pareri resi, alcune indicazioni generali in materia di tutela della privacy.

Temi in classe
Non lede la privacy l’insegnante che assegna ai propri alunni lo svolgimento di temi in classe riguardanti il loro mondo personale. Sta invece nella sensibilità dell’insegnante, nel momento in cui gli elaborati vengono letti in classe, trovare l’equilibrio tra esigenze didattiche e tutela della riservatezza, specialmente se si tratta di argomenti delicati.

Cellulari e tablet
L’uso di cellulari e smartphone è in genere consentito per fini strettamente personali, ad esempio per registrare le lezioni, e sempre nel rispetto delle persone. Spetta comunque agli istituti scolastici decidere nella loro autonomia come regolamentare o se vietare del tutto l’uso dei cellulari. Non si possono diffondere immagini, video o foto sul web se non con il consenso delle persone riprese. E’ bene ricordare che la diffusione di filmati e foto che ledono la riservatezza e la dignità delle persone  può far incorrere lo studente in sanzioni disciplinari e pecuniarie o perfino in veri e propri reati.

Stesse cautele vanno previste per l’uso dei tablet, se usati a fini di registrazione e non soltanto per fini didattici o per consultare in classe libri elettronici e testi on line.

Recite e gite scolastiche
Non violano la privacy le riprese video e le fotografie raccolte dai genitori durante le recite, le gite e i saggi scolastici. Le immagini in questi casi sono raccolte a fini personali e destinati ad un ambito familiare o amicale. Nel caso si intendesse pubblicarle e diffonderle in rete, anche sui social network, è necessario ottenere il consenso delle persone presenti nei video o nelle foto.

Retta e servizio mensa
É illecito pubblicare sul sito della scuola il nome e cognome degli studenti i cui genitori sono in ritardo nel pagamento della retta o del servizio mensa. Lo stesso vale per gli studenti che usufruiscono gratuitamente del servizio mensa in quanto appartenenti a famiglie con reddito minimo o a fasce deboli. Gli avvisi messi on line devono avere carattere generale, mentre alle singole persone ci si deve rivolgere con comunicazioni di carattere individuale. A salvaguardia della trasparenza sulla gestione delle risorse scolastiche, restano ferme le regole sull’accesso ai documenti amministrativi da parte delle persone interessate.

Telecamere
Si possono in generale installare telecamere all’interno degli istituti scolastici, ma devono funzionare solo negli orari di chiusura degli istituti e la loro presenza deve essere segnalata con cartelli. Se le riprese riguardano l’esterno della scuola, l’angolo visuale delle telecamere deve essere opportunamente delimitato. Le immagini registrare devono essere cancellate in generale dopo 24 ore.

Inserimento professionale
Al fine di agevolare l’orientamento, la formazione e l’inserimento professionale le scuole, su richiesta degli studenti, possono comunicare e diffondere alle aziende private e alle pubbliche amministrazioni i dati personali dei ragazzi.

Questionari per attività di ricerca
L’attività di ricerca con la raccolta di informazioni personali tramite questionari da sottoporre agli studenti è consentita solo se ragazzi e genitori sono stati prima informati sugli scopi delle ricerca, le modalità del trattamento e le misure di sicurezza adottate. Gli studenti e i genitori devono essere lasciati liberi di non aderire all’iniziativa.

Iscrizione e registri on line, pagella elettronica
In attesa di poter esprimere il previsto parere sui provvedimenti attuativi del Ministero dell’istruzione riguardo all’iscrizione on line degli studenti, all’adozione dei registri on line e alla consultazione della pagella via web, il Garante auspica l’adozione di adeguate misure di sicurezza a protezione dei dati.

Voti, scrutini, esami di Stato
I voti dei compiti in classe e delle interrogazioni, gli esiti degli scrutini o degli esami di Stato sono pubblici. Le informazioni sul rendimento scolastico sono soggette ad un regime di trasparenza e il regime della loro conoscibilità è stabilito dal Ministero dell’istruzione. E’ necessario però, nel pubblicare voti degli scrutini e degli esami nei tabelloni, che l’istituto eviti di fornire, anche indirettamente, informazioni sulle condizioni di salute degli studenti: il riferimento alle “prove differenziate” sostenute dagli studenti portatori di handicap, ad esempio, non va inserito nei tabelloni, ma deve essere indicato solamente nell’attestazione da rilasciare allo studente.

Trattamento dei dati personali
Le scuole devono rendere noto alle famiglie e ai ragazzi, attraverso un’adeguata informativa, quali dati raccolgono e come li utilizzano. Spesso le scuole utilizzano nella loro attività quotidiana dati delicati  – come quelli riguardanti le origini etniche, le convinzioni religiose, lo stato di salute – anche per fornire semplici servizi, come ad esempio la mensa. E’ bene ricordare che nel trattare  queste categorie di informazioni gli istituti scolastici devono porre estrema cautela, in conformità al regolamento sui dati sensibili adottato dal Ministero dell’istruzione. Famiglie e studenti hanno diritto di conoscere quali informazioni sono trattate dall’istituto scolastico, farle rettificare se inesatte, incomplete o non aggiornate.

Roma, 6 settembre 2012


Io non voglio sapere chi si è iscritto a Zoosk!

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Zoosk è una applicazione per Facebook che collega ad una risorsa web costituita da un sito per single.

La pubblicità dice che è il sito di incontri on line n. 1 in Italia. E va bene. Non ho nulla contro i siti di incontri on line, così come non ho nulla contro il fatto che la gente si conosca on line, ci mancherebbe anche altro.

Ma qualcuno mi spieghi perché nella pubblicità di Zoosk che appare su Facebook uno devo anche sapere CHI tra i suoi contatti usa o ha usato Zoosk.

In breve, perché io devo essere informato di chi si è iscritto a un sito di incontri (per curiosità, sfida, momento di tristezza o leggerezza assoluta?) quando dovrebbero essere solo affari suoi?

Ridàtemi le agenzie matrimoniali!!

Il Comune di Spoltore monitora il web

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Vista del Comune di Spoltore - da www.wikipedia.org

Difendersi dalla diffamazione e dall’ingiuria è estremamente semplice.

Se ci si sente offesi da qualcuno si invocano gli articoli 594 (ingiuria) e 595 (diffamazione) del Codice Penale, si va dal magistrato, si espongo i fatti, si querela chi ha profferito quelle parole, si firma il relativo verbale e cominciano le indagini. Se no basta anche scrivere per conto nostro quel che è successo, autenticare la firma in comune, e spedire il tutto per raccomandata.

A Spoltore, comune in provincia di Pescara, a pochi chilometri da dove io vivo, le cose sono un po’ più complicate.

L’amministrazione comunale guidata dal Democratico Luciano Lorito ha emesso una delibera, per cui “Previa consultazione col legale di fiducia dell’ente”, la dirigente del Settore Servizi alla Persona e Contenzioso sarà incaricata di monitorare ogni mese blog, social network (Twitter, Facebook e quant’altro) per vedere se esistano delle offese che vadano a ledere la dignità dei dipendenti comunali e degli amministratori.

In caso affermativo, dice i documento “si procederà senza ulteriori avvivi e/o atti”.

Le domande sorgono innocenti e spontanee:
a) Perché questa azione di controllo e di ricognizione è dedicata solo al web? Non potrebbe darsi che le offese di cui sopra possano venir veicolate, ad esempio, attraverso la stampa, la radio e la televisione? E quelli chi li controlla??
b) Quanto costa al contribuente un team che vada a setacciare TUTTE le risorse descritte, premesso che una sola persona non potrebbe farlo?
c) Non esiste forse l’articolo 21 della Costituzione sulla libertà di opinione (di cui fa parte il diritto di critica) con OGNI MEZZO??
d) Si potrebbe dare il caso che cittadini che hanno solo CRITICATO l’operato dell’amministrazione comunale di Spoltore usando il web come veicolo del proprio pensiero possano trovarsi un giorno indagati SOLO perché il sentire di chi è addetto al controllo vede quelle CRITICHE come delle OFFESE?

E in ultimo, a chi fa paura il web?

Saimos do Facebook

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Il Brasile, terra meravigliosa e paese ingiustamente considerato “in via di sviluppo”, senza poi chiarire in sviluppo rispetto a che cosa, è cornice di una delle proteste di consistenti, violente e sanguinolente di questo noiosissimo inizio di millennio.
Dovremmo imparare molto dal Brasile, specialmente da questo manifestante che, armato soltanto di un cartello e di una testa per pensare, ricorda a tutti che per protestare è necessario uscire da Facebook e entrare nelle piazze.
In Italia, naturalmente, accadrà soltanto che chi è su Facebook ci rimane, perché essere su Facebook è un po’ come tenere il culo su una poltroncina che è sempre nostra per piccina ch’ella sia.
La rete ci fa incontrare. Poi, quando ce n’è bisogno, si va fuori.

Caterina Marini e Ilaria Bugetti del PD sono su Facebook

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Caterina Marini è consigliera della circoscrizione centro del Partito Democratico.

Una sera sua sorella la chiama al telefono per dirle che mentre si recava in camera sua è stata fortemente spaventata dalla vista e dalla presenza di un ladro. Ansia più che comprensibile.

La Marini, renziana ed ex portavoce della segretaria della federazione pratese, sfoga la sua rabbia su Facebook con queste parole “La telefonata di mia sorella mi ha lasciato senza parole: mentre andava in camera si è trovata faccia a faccia in casa con un ladro…. Che città di merda è questa… Extracomunitari ladri stronzi dovete morire subito” e, in un commento “Era un magrebino. Agile come un gatto. E datemi di razzista non me ne frega un cazzo. La gente ha solo discorsi”.
Poi capisce che forse ha esagerato (o qualcuno le dice che il suo post ha provocato più di qualche mugugno) e toglie il messaggio dalla sua bacheca.
Troppo tardi. La disciplina interna del PD si è mossa. “Con quelle dichiarazioni Caterina Marini è di fatto fuori dal Partito Democratico perché violano chiaramente i nostri principi fondanti che da sempre si rispecchiano nell’anti-razzismo, nella non-violenza e nel rispetto della convivenza. Tali affermazioni hanno giustamente colpito la sensibilità delle forze politiche, associative e civili che tutti i giorni lavorano a quell’idea d’integrazione irrinunciabile in una moderna ed evoluta società. Non spetta direttamente a me emettere delle sanzioni e ho già chiesto l’apertura di un procedimento disciplinare presso la commissione di garanzia. Tuttavia appare evidente la violazione del codice etico che Caterina Marini ha sottoscritto in due momenti: in primo luogo prendendo la tessera del Partito Democratico e anche una volta eletta come consigliera di Circoscrizione”. Questo quanto scrive Ilaria Bugetti.

In effetti un po’ pesine erano, quelle frasi. Ma oltre al giudizio politico, al procedimento disciplinare che preluderà certamente all’espulsione, arriva il controsenso, la beffa, l’assurdo, la commedia.

Un ulteriore commento di Ilaria Brugetti, secondo quanto riportato da “Il Fatto Quotidiano” di oggi, a pagina 8, in un articolo di Daniele Vecchi è stato: “Perché noi dobbiamo dare il buon esempio. Se sei un personaggio pubblico e impegnato in politica non puoi permetterti di scrivere su Facebook. (…) Con tutto quello che abbiamo detto di Berlusconi serve coerenza.”

Ora, sinceramente sfugge anche al lettore più superficialmente interessato alla vicenda il perché un personaggio pubblico dedicato alla politica non debba, anzi, non possa permettersi di scrivere su Facebook. Evidentemente una persona, qualunque persona, finché non commette reato scrive su Facebook o dove vuole quel che vuole. Molti politici ben più “visibili” della Brugetti e della Marini lo fanno. Forse non si dovrebbero scrivere QUEL TIPO di frasi, ma per il resto non si vede perché una politica non possa condividere la foto degli spaghetti che ha cucinato per cena con i suoi “amici”, se le sembra buono farlo.

Allora mi sono detto, andiamo un pochino a vedere e facciamo una ricerca su Facebook sotto il nome “Ilaria Brugetti”. Ecco cosa appare:

Allora uno dice: “Sarà certamente una omonima”. Macché, la pagina “Per Ilaria Bugetti Segretaria provinciale Pd” serve o è servita, evidentemente, a sostenerla nel cammino politico.

Non ho nulla contro la propaganda. E’ giusto che la Bugetti la faccia se ritiene che i 475 “mi piace” raccolti le siano utili. Ma chi dava il buon esempio non doveva non potersi permettere il lusso di scrivere su Facebook? Già, e come mai allora gli altri due account riportati sono inequivocabilmente risalenti a lei? Non sono due omonimie, ogni account è intestato a una persona nata il 9 novembre 1973, la somiglianza delle due foto associate ai profili è evidente, e uno dei due profili sembra essere nato proprio per raccogliere le richieste di iscrizione eccedenti i 5000 “amici” (tetto massimo stabilitoda Facebook per un privato). Inoltre si parla del Partito Democratico e della vita politica di Prato. Cosa vogliamo di più??

Vogliamo solo che il buonesempismo sia una realtà.

Daniela Santanché vicepresidente della Camera

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Daniela Santanchè in una recente apparizione pubblica

Apprendo oggi dalla pagina Facebook di tale Giuseppe Civati (ma guarda lì cosa mi tocca fà’), che piace a più di trentamila persone e anche a una mia carissima amica (Giuseppe Civati, non la sua pagina Facebook, ça va sans dire) che il Partito Democratico sarebbe pronto a votare compatto con l’attuale maggioranza di governo (cioè, in estrema sintesi, con il PDL, quindi con se stesso) la candidatura di Daniela Santanchè a vicepresidente della Camera. Due donne, dunque, saranno sedute sul più alto scranno di Montecitorio e probabilmente già dalle prime sedute sarà una sfida all’ultimo foulard di Hermès, al cashmerino più “giusto” e un richiamo per tutti al rispetto nei confronti delle istituzioni. Quello che viene reclamato da chi affermò che Maometto era un poligamo e un pedofilo.

Anna Laura Millacci, Massimo di Cataldo, Barbara Collevecchio, Pavlov e altri

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Questa storia delle foto di Anna Laura Millacci ridiffuse in ogni dove sul web ha sinceramente cominciato ad innervosire persino me, che sono notoramente lento all’ira.

I fatti. Anna Laura Millacci pubblica alcune foto sul suo profilo Facebook e accusa il suo compagno, Massimo Di Cataldo, di averla aggredita e fatta abortire. Massimo Di Cataldo ha risposto.

Punto. Non c’è altro.

Le foto fanno il giro del web. Personalmente in questo articolo scelgo di non ripubblicarne neanche una. Il blog è mio e lo gestisco io.
Provocano però una reazione di indignazione a cascata che è interessante analizzare.

Per farlo mi servo di un bell’articolo di Chiara Lalli pubblicato oggi su giornalettismo.com e intitolato “Massimo Di Cataldo, Anna Laura Millacci e il cane di Pavlov”.

Nella sua pregevole analisi, Chiara Lalli cita un intervento su Twitter di Barbara Collevecchio, psicologa e blogger. La Collevecchio scrive: “La moglie di Massimo di Cataldo pubblica su FB foto che dimostrano come lui l’ha pestata a sangue e fatta abortire”.

La Lalli osserva come questo modo di presentare la realtà non corrisponda ai fatti. In primo luogo perché la Millacci non è la moglie di Massimo Di Cataldo (e fin qui transeat), ma anche e soprattutto perché quelle foto non “dimostrano” proprio un bel niente. Non creano, cioè, quel filo inequivocabile che serve per poter sostenere che un effetto è frutto di una causa messa oltretutto in opera da una persona specifica.

Sono d’accordo. Si tratta di un modo brutto e insinuante di presentare dei fatti (altro sarebbe stato se si fosse trattato di opinioni).

I commenti all’intervento di Barbara Collevecchio non si sono fatti aspettare: “un coraggio ed una forza enormi. E lui è un verme”, “spero lo abbia denunciato sto criminale”, “l’ha anche fatta abortire sto leggendo su FB sono shockato” (Facebook preso come fonte di informazione è spaventoso, è come fidarsi di Wikipedia!) “per pura coincidenza proprio da oggi @massidicataldo è su twitter. diamo il via alle danze?” (le “danze” cosa sarebbero? Metterlo alla pubblica gogna direttamente in casa sua??), “un coglione che mena una donna per di + incinta.”

Ma c’è di più. Il post viene retweettato per 54 volte. Per la verità qualcuno a cui la cosa “puzza” c’è: “ma sta cosa va denunciata, altro che twitter… se è vera cosa centrano i sociale network? sono allibito” e “io lo lascerei dimostrare dalle indagini, che dici?”, ma è normale che in una corsa al “dàgli all’untore” la maggioranza sia di quelli che dànno il via alle danze.

Dopo due ore Barbara Collevecchio torna sul tema: “Massimo di Cataldo smentisce la moglie sempre su FB dicendo che si è inventata tutto perché lasciata. Questa storia è un caso clinico”.
E sapete quanti re-tweet ha collezionato: 7!

Per la gente quello che è da amplificare è la notizia, è lo scandalo, è lo schiaffo, è il sangue che scorre, è il feto abortito nel lavandino del bagno, perché, come dice Chiara Lalli “richiede meno fatica di urlare puntando il dito contro il presunto colpevole nelle strade polverose e minacciate dagli appestati. Basta condividere e ritwittare dal divano di casa.”

Del resto neanche la Collevecchio molla l’osso: “questa storia è un caso clinico”. La limitatezza dei 140 caratteri di Twitter non ci dà la motivazione di questa clinicità (non per nulla i “Casi Clinici” sono uno dei libri di Freud più letti anche a livello di semplice fruizione, per cui il termine è entrato nel linguaggio corrente come luogo comune). Per cui resta una mera diagnosi.

Altre domande sono cadute nel vento, come diceva Bob Dylan: come mai la Millacci non ha denunciato alla magistratura il suo compagno, se veramente è l’autore di quelle azioni orrende che gli addebitano? La risposta è semplice, e non sta in quello che si è finora vociferato, ovvero che vorrebbe preservare a sua figlia la possibilità di avere (ancora) un padre, ma perché una denuncia su Facebook è molto più efficace della giustizia umana. Genera una vendetta e una giustizia sommaria immediate, che espongono l’obiettivo alla morte telematica che è peggio di quella civile.

Oggi non importa con quante persone al giorno ti relazioni, importa quanti amici hai su Facebook, quanto ti taggano, quanto twitti. E’ sul web che una persona vive o muore agli occhi della gente.

E a proposito. Sono andato a cercare “Anna Laura Millacci” su Facebook.
Ho trovato questa anteprima che indica il suo stato sentimentale “vedova”.
Non so se sia stata precedentemente sposata e suo marito sia prematuramente defunto.
Ma è matematicamente certo che una persona morta (sul serio o nella mente di chi la ritiene tale) non potrà mai difendersi.

Le foto pubblicate da Anna Laura Millacci rimosse da Facebook

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Visto che il filone ha preso il via, vi comunico che un flash dell’ANSA ha reso noto che le foto delle presunte percosse e del presunto feto abortito, non sono più raggiungibili sul sito di Anna Laura Millacci.

Questo non vuol dire assolutamente niente, naturalmente. Non vuol dire né che Di Cataldo sia colpevole né che sia innocente, né che quel materiale sia stato sequestrato né che non lo sia stato, né che si sia trattato di una libera scelta dell’intestataria dell’account, né che sia stata costretta a toglierle sulla base della pressione del caso mediatico che ne è derivato, né tanto meno che le foto dimostrano una connessione diretta tra l’immagine rappresentata, le percosse subite e l’autore delle medesime.

Una domanda però ce la possiamo rivolgere: se quelle foto erano vere e legittimamente mostrate al pubblico (limitato o meno ai contatti della Millacci, non importa), che senso aveva toglierle?

Nessuno ci darà mai una risposta, certo. Ma il dubbio… ah, cosa faremmo se non esistesse!


Come aumentare i followers su Twitter e gli amici su Facebook

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Se siete arrivati su questo post è perché anche voi volete aumentare i vostri followersSSS su TwittersssSSS e raccogliere centinaia di migliaia di amiche e di amichi su FacebooksssSSSS.

Complimenti, siete proprio capitati sul luogo giusto. Tra poco avrete la straordinaria e insostituibile opportunità di moltiplicare senza fatica, con incredibile e magica efficacia, ma soprattutto aggràtisse (che i quattrini son sempre pochi ed è meglio tenerli nel borsellino piuttosto che dare gli euri in giro, non si sa mai).

Voi non dovete fare altro che stare seduti comodamente sulla vostra poltrona. Che chissà quante volte ve l’hanno detto che basta stare seduti comodamente sulla vostra poltrona e il sistema fa tutto per conto vostro, vi è mai successo? No? Cambiate poltrona.

Allora cominciamo ad entrare nel merito del tema, vi state tenendo forte?? Guardate che state per apprendere un sistema davvero esclusivo e semplicissimo, a meno che non siate de’ tontoloni nelle informatiche vicende.

Prima di tutto prendete il vostro accàunt. Avete una foto poco accattivante? Ahi ahi ahi, questo è il vostro primo errore, gagaroni belli, ma per fortuna ci sono qui io a darvi tutte le indicazioni possibili ed immaginabili e senza chiedervi il biccio di un $oldo, pensate un po’. Allora cambiatela subito. Se la vostra foto attuale è sorridente sappiate che dovete mettercene una molto più trèndy. Che so, non ne avete una in cui vi mettete le dita nel naso o vi tagliate le unghie dei piedi? Ecco, quella andrà benissimo perché istantaneamente sarete guardati da tanti amichi ed amiche che vi cliccheranno come forsennati incuriositi da questa vostra stravagante attività.
Va benissimo anche un’istantanea in cui prendete a calci un gattino o abbandonate il vostro cucciolo di Golden Retriever direttamente in contromano sulla A14, ma purtroppo in questo caso potreste essere invasi da orde di amanti degli animali che purtroppo si indignano quando le bestie vengono scaraventate dai ponti autostradali e che vi riempirebbero di spamming.

Da dove si comincia? (Già, perché son già due ore che scrivo e non vi ho ancora detto da dove si comincia) Ma sì, dai vostri amichi e amiche. La vostra rubrica telefonica sarà la vostra più preziosissima alleata perché solo guardando il vostro SmartphoneSSSSSS troverete i vostri primi contatti.

Sappiate, cari incrèduli, che il fatto che voi siate su TwittersssSSSS o su FacebookSSSSS è una cosa molto importante e che i vostri amichi sono molto interessati a questo, per cui se glielo ricordate (meglio verso le tre e mezza di notte) loro verranno subito gàrruli a porgervi corone di fiori e si alzeranno volentierissimissimo dal letto per andare a cliccare sul vostro account o aggiungervi alle loro amicizie, che, come vi dicevo, è una delle cose più importanti che esistano al mondo.

E poi, una volta che avrete i primi amichi, cominciate a giardare chi sono i loro amichi a loro volta (perché scrivere una guida a internet con un italiano agile e piacevole è uno dei requisiti fondamentali della comunicazione) e cominciate loro a scrivere comunicando la lieta novella: voi siete su TwittersssSSSS voi siete su FacebooksssSSSS ed eventualmente ripetete l’operazione due volte al giorno a ore pasti finché, vedrete, le persone contattate cederan… vi concederanno il loro contatto sui Social NetworkssssSSSSS per avere espiato la pena.

Continuate così per un buon quattro o cinque mesetti poi uscite felici di casa: avete realizzato il vostro sogno. E pensate che le corcate che riceverete sono comprese nel prezzo!!

E a proposito di prezzo, va bene che questi consigli sono aggràtisse, ma se poteste intanto anticiparmi un gingerino e le sigarette… no, eh???

Sedici anni: “Sono abituata a stare fuori casa. E sinceramente non capisco tutto questo trambusto”

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«Sono abituata a stare fuori casa. E sinceramente non capisco tutto questo trambusto con tanto di articoli sui giornali. Sono stata nei dintorni di Jesolo con degli amici albanesi miei coetanei. Una gran confusione per niente. Sì, forse stavolta mi sono trattenuta fuori più a lungo del solito. Ma non mi è successo nulla. Ero senza cellulare, per questo non ho telefonato alla mamma»

SENTI, RAGAZZINA! Hai sedici anni e sei minorenne, te ne stai fuori una settimana, tua madre chiama i carabinieri, la comunità che fa capo al tuo paese si mobilita per venirti a cercare, sei su tutti i giornali, c’è una denuncia di scomparsa, e tu ti meravigli di “tutto questo trambusto??” Il cellulare che normalmente ti serve per connetterti a Facebook e non lo molli nemmeno per un secondo, guarda caso, quando si tratta di uscire con i tuoi amici albanesi e non dare più notizie di te resta miracolosamente a casa. Allora te ne stai un po’ a casa anche tu, magari a studiare, che male non ti fa. O a lavorare che è ancora meglio, che queste cose io alla tua età non le ho mai fatte, e una volta che rientrai alle quattro di notte e era Capodanno, i miei mi riempirono di sacrosanti impropèri, ma guarda tu…

Le Istituzioni hanno paura di internet

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La rete, questa sconosciuta. Questo mezzo di comunicazione che produce paura, come tutto quello che non si può fermare, come tutto quello che vorremmo non ci fosse, come tutto quello che permette alla gente di sfuggire ai controlli tradizionalmente intesi. E se la rete è sconosciuta, la rete diventa, automaticamente (e non potenzialmente) dannosa.
Non esiste ancora, soprattutto ai più alti vertici dello Stato e, più in generale, nella visione del legislatore, l’immagine della rete come società, per cui le leggi che valgono nella società sono trasferibili perfettamente anche nella rete, no, la rete è diventata, nell’immaginario politico prima ancora che in quello dell’opinione pubblica, luogo privilegiato di interesse per i comportamenti del singolo. Tutto ciò che è fatto in rete assume una valenza amplificata, come se fosse più grave di ciò che succede nella vita quotidiana.

Una precisazione: io non ce l’ho affatto con la presidente della Camera Boldrini, come la frequenza di post su di lei potrebbe far credere. Molto semplicemente non condiviso una virgola di quel che dice, fa, pensa. Lei ha tanti mezzi per diffondere il suo pensiero, io ho solo il mio blog. Abbiate pazienza.

Laura Boldrini, dunque, ha scritto sulla sua pagina Facebook queste osservazioni che riporto, integralmente, evidenziandole in grassetto.

La violenza contro le donne continua a mietere vittime. In questi giorni altri due casi di femminicidio: Cristina Biagi uccisa il 28 luglio, Erika Ciurlia il giorno dopo. Una violenza che non ha confine e che passa anche attraverso la rete, non solo in Italia.

La violenza a cui si riferisce la Boldrini, probabilmente, è da cercare in alcuni interventi pubblicati prima dei delitti dai presunti assassini su Facebook. Interventi che facevano chiaramente presagire quello che sarebbe avvenuto di lì a poco e che nessuno è stato in grado di scongiurare (ci sarà ben stato qualcuno che avrà visto quei post tre ore prima dell’omicidio, no? Macché, tutti zitti, tutti facebookianamente omertosi). Ma il punto non è la rete, evidentemente, quanto, piuttosto, tutte le modalità di comunicazione possibili tra un assassino e la sua vittima designata. Quante telefonate, quanti SMS avrà ricevuto la donna prima di morire? Ma, ecco, del telefonino non parla più nessuno, quello non fa paura. Eppure è lo strumento preferito dagli stalker. Una volta si usavano le lettere anonime di minaccia. Si usano ancora, non so quante ne riceveranno i deputati della Camera, ma se ne parla pochissimo. Facebook, dunque, come quintessenza del pericolo in internet, ma non solo.

In Inghilterra, ben 60mila persone hanno firmato una petizione on line perché su Twitter venga inserito un ‘tasto’ per segnalare abusi …e violenze verbali. Dopo la mobilitazione di massa, il social network si è impegnato a provvedere. A portare avanti questa battaglia è stata Caroline Criado- Perez, una nota attivista per i diritti delle donne, vittima di pesantissime minacce sul suo profilo.

La rete fa quello che l’Italia non riesce nemmeno a recepire. Sono bastate 60.000 persone perché Twitter facesse suo uno slancio di indignazione fortissimo, e tutto questo in pochissimi giorni.
In Italia “Il fatto quotidiano” sta portando avanti una raccolta di firme contro lo sfregio della Costituzione perpetrato da parte dei partiti di Governo. Le firme raccolte ad oggi sono 160.000. Eppure non c’è stata nessuna risposta a livello istituzionale. Che cosa avrebbe da dire la presidente Boldrini su questo?


Per quale motivo non viene inserito un “tasto” legislativo che permetta di mantenere inalterato il senso della nostra carta?
Sono 160.000 persone, dicevo, e il loro numero è destinato ad aumentare. Eppure è come se non ci fossero. La rete, attraverso la quale hanno manifestato la loro adesione, è “virtuale”. E’ come se non esistessero. E il problema è Twitter??

Anche nel nostro Paese, molti, specialmente donne, subiscono minacce on line e alcuni giovani sono arrivati a togliersi la vita a causa del dileggio in rete.
La mobilitazione collettiva, in Inghilterra, ha aiutato ad ottenere risultati per aumentare la tutela sul web. In Italia questo tema viene percepito, da alcuni, come un tentativo di censura.
Cosa ne pensate dell’esperienza inglese?

Sarebbe stato confortante avere i dati che riguardano le persecuzioni di reati come l’istigazione al suicidio (che mi pare ancora perfettamente contemplato nel nostro codice penale), sapere cioè quante persone, dopo un giusto e regolare processo, sono stati riconosciuti colpevoli di crimini come quelli richiamati dalla Presidente Boldrini.
Ma questi dati non ci vengono proposti. Come mai?
E perché la cosiddetta “tutela del web” viene vista come un tentativo di censura? Perché diventerà troppo facile per chi usa Twitter segnalare qualcuno per una parola fuori posto o, ancor meno, per una opinione non gradita. Si premerà il bottoncino e quello sparirà, non avrà più la possibilità di esprimersi su quella piattaforma. Non è uno strumento di tutela, è uno strumento di delazione e di giustizia sommaria. Ecco cosa penso dell’esperienza inglese.

Abbiamo leggi per tutelarci e magistrati per applicarle. Adesso.

Il pulsante antimolestie di Twitter

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Twitter è qualcosa di meraviglioso, peccato che l’ho scoperto troppo tardi.

140 caratteri, praticamente un palpito. Un blogghettino minimale e, soprattutto, niente ansia di avere tanto “follower” (si chiamano così i fans su Twitter) perché, tanto, tutto è pubblico e chiunque può leggere tutto di chiunque altro.

Insomma, semplice, immediato, veloce, accessibile da quasi qualunque piattaforma (esistono blogger come Yoani Sánchez che aggiornano il proprio blog attraverso gli SMS), trasparente, ma soprattutto arma di discussione e di critica nei confronti dei politici (io ho risposto a Laura Puppato e Matteo Renzi). Su Twitter, molto più che su Facebook, ognuno si ritrova davanti al popolo del web.

Al punto che, tempo fa, la deputata laburista Stella Creasy e la blogger Caroline Criado-Pérez, oltre a tre giornaliste, sono state molestate su Twitter nel Regno Unito con l’invio di tweet volgari, offensivi e denigratori, e addirittura alcune minacce di morte.

Sono cose che fanno male. Molto male.

E così, svariate migliaia di utenti ha pensato di chiedere a Twitter di inserire un pulsante antimoltestia. Che non si sa bene come funzionerà dal punto di vista pratico. Cioè, io ritengo di essere stato molestato da qualcuno, clicco sul pulsantino e Twitter mi rimuove il contenuto suppostamente denigratorio e fa tottò all’utente? Sarebbe terribile.

Comunque sia, il direttore generale di Twitter Tony Wang ha commentato: «Mi scuso personalmente con le donne che sono state insultate su Twitter e per quello che hanno sopportato»
Di che si scusa? Non è colpa sua. Non le ha mica scritte lui quelle minacce. Può sentirsi colpito perché la sua piattaforma è stata usata per scopi non propriamente umanitari, ma da qui a scusarsi c’è una bel salto!
Esiste un principio giuridico ormai vigente in tutto il mondo (tranne in Italia, dove, si sa, siamo in leggera controtendenza, specialmente con la sentenza Google) per cui il provider non è responsabile dei contenuti immessi dall’utente. Cioè YouTube non risponde del copyright eventualmente violato dai suoi iscritti.

E poi aggiunge: «La gente merita di sentirsi al sicuro su Twitter».
E certo. Ma se una persona può segnalarmi così, just for, io non mi sento affatto al sicuro.
Io, come tutti gli altri, saremo alla mercè di qualche buontempone, o di qualche integralista, o di qualche personaggio con la sensibilità alle stelle, che se io scrivo “Chi non mangia la Golia o è un ladro o è una spia” e quello/a non mangia la Golia e si sente offeso/a perché non è né un ladro né una spia (si veda il caso), mi sbottoncina e poi, se mi va bene, devo riferire a Twitter il perché e il percome (il mio inglese scritto è pessimo, abbiate pietà!).

Saremo l’uno il Grande Fratello dell’altro, basterà un clic per cancellare pensieri, parole, opere e omissioni. Per la colpa degli altri.

“Per me possono anche prenderti e stuprarti in piazza” Gianluigi Piras si dimette dal PD

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Il profilo Facebook di Gianluigi Piras

«Isinbayeva, per me possono anche prenderti e stuprarti in piazza. Poi magari ci ripenso. Magari mi fraintendono».

Così Gianluigi Piras , presidente  del forum sardo del Partito Democratico sui diritti umani e consigliere comunale di Jerzu, in un intervento sul suo account Facebook riferito alle prese di posizione dell’atleta russa Isinbayeva che ha difeso le leggi russe contro l’ostentazione della propaganda gay, salvo poi prendere diversa posizione correggendo leggermente il tiro in una successiva conferenza stampa.

Non lo so che cavolo prende ai politici quando sono su Facebook e Twitter. Forse pensano di trovarsi in una sorta di zona franca, di non essere visti, di un ambiente telematico di libertà totale di auspicio allo stupro.

Fatto sta che dopo le frasi rivolte su Facebook dalla leghista Dolores Valandro al Ministro Cécile Kyenge che le sono costate, altre all’espulsione dal suo adorato partito, anche un anno di reclusione e tre anni di interdizione dai pubblici uffici, è il Partito Democratico a dover fare i conti con l’intemperanza verbale di un suo esponente che, a giudicare dalle premesse, non mi risulta possa avere una lunga vita politica.

Ha provato a chiarire («chiarirò quello che è evidentemente un grosso equivoco. E farò dovute comunicazioni. Per ora mi scuso per una frase che, a prescindere dalle mie motivazioni e dagli opportuni chiarimenti, prendo atto sia stata evidentemente recepita come violenta e inaudita», non si riesce a vedere che razza di equivoco possa essere contenuto nella frase “per me possono anche prenderti e stuprarti in piazza”) e poche ore dopo si è dimesso («quando si sbaglia, in politica come nella vita, c’è sempre un prezzo da pagare.  A tal proposito e irrevocabilmente rassegno le dimissioni dai miei incarichi: la presidenza del forum regionale sui Diritti civili del Partito democratico della Sardegna, il Consiglio comunale di Jerzu, il coordinamento regionale di Anci giovane, il coordinamento provinciale di Prossima Italia, associazione che in questa fase sta sostenendo la candidatura di Giuseppe Civati alla segreteria del Pd»).

Alcune ore fa ha aggiunto “In questo momento e prima di tacere definitivamente e per parecchio tempo, oltre alla nota diramata, posso solo integrare che, dimissioni a parte, accetterò qualsiasi provvedimento di espulsione da parte del mio partito. Inoltre, qualora la nota non fosse sufficiente a recuperare il grave danno da me involontariamente inferto ai danni di tutte quelle donne che abbiano subito violenze e che, a leggere le mie parole, siano state toccate da ennesima violenza, intendo accettare qualsiasi iniziativa legale nei miei confronti al fine di pagare il giusto prezzo, se necessario, anche di fronte alla legge. E se proprio devo continuare a ricevere infiniti e giustificati insulti, chiedo solo che siano sinceri e sentiti e non provengano da altre motivazioni. Chiedo ancora scusa.”

Ora, se parla di “danno involontariamente inferto” la cosa è triplamente grave perché oltre a usare delle parole pesantissime non c’è neanche la consapevolezza della gravità e della degradazione dello stupro per una donna, che avrà anche espresso opinioni poco condivisibili, e io non le condivido per niente, ma che hanno visto Piras carnefice quando avrebbe potuto e dovuto sentirsi vittima assieme a tutto gli omosessuali che la nuova legge russa sull’omofobia mette al margine della società.
Intende “accettare qualsiasi iniziativa legale” nei suoi confronti. Benissimo, ma non è una cosa che gli fa onore, è il minimo, beninteso.
Vuole pagare il giusto prezzo “se necessario anche di fronte alla legge”. E certo, dove vuole pagarlo, se no? A me? Al suo Partito? Alla fruttivendola??

Non manca chi lo difende a spada tratta: “Piena solidarietà a Gianluigi Piras, la cui provocazione non è stata capita da molti e deliberatamente non voluta capire dai più. Capisco anche quella mentecatta della Isimbayeva, il cui sangue è tutto concentrato nella sua potente muscolatura e nulla nel suo piccolo cervellino…”

Insulti su insulti. Ironia della sorte, la foto dello sfondo dell’account Facebook di Piras è quella della Kyenge. 

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